lunedì 22 agosto 2011

Il popolo libico, questo sconosciuto

Sono sconcertato dall'etnocentrismo che pervade l'editoriale di oggi sul Corriere "Strana guerra senza vincitori”.


L'ex ambasciatore Sergio Romano rileva, stupito, che la rivoluzione di Libia non avrebbe vincitori. E li va cercando nel suo mondo: governi occidentali, USA, Nato. In tutto l'articolo manca l'espressione "popolo libico", quello che in definitiva ha retto quasi tutto il peso della guerra, che ha avuto un numero impressionante di vittime e che è stato capace di porre fine a una spietata dittatura durata oltre quarant'anni. I libici sono definiti solo "ribelli" o "forza raffazzonata". Non siamo al "ratti" usato da Gheddafi, ma il modo di pensare sotteso, una mancanza totale di considerazione, non è poi molto diverso.

Se si abbandona il modo di pensare colonialista che fa di noi il centro del mondo e dei popoli africani una realtà trascurabile, masse anonime manipolabili da chiunque, risulta evidente l'analogia tra la guerra testé conclusa e la guerra di liberazione in Italia. Se un giornale straniero, il 26 aprile 1945 avesse detto che i "ribelli" italiani avevano vinto solo grazie all'apporto degli alleati e che costituivano una "forza raffazzonata" composta da qualche nucleo comunista, badogliani, monarchici, una pattuglia democratica, destinata a dar vita a "un partito di cui si ignora la composizione e i programmi", probabilmente Romano si sarebbe risentito.

Si è visto poi che, pur con luci e ombre, l'Italia è risorta dalle macerie della guerra ed ha prodotto un paese passabilmente democratico. Perché non dovrebbe riuscirci il popolo libico?


Per approfondimenti: La Libia ora assomiglia tanto all'Italia del 1945 
(un mio articolo su “lettera43”)

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