venerdì 18 gennaio 2013

La "guerra nel Mali"

Quello che segue è un mio intervento, inviato sul sito dell'ISPI come commento alla seguente frase di Romano Prodi (Inviato Speciale dell’Onu per il Sahel): “Devo ammettere di non aver mai visto una coesione internazionale come quella che distingue in queste ore il sostegno all’intervento militare in Mali. Il motivo sta nel fatto che la paura del terrorismo accomuna tutti”.

La paura non è mai una buona consigliera. I peggiori delitti sono spesso opera di persone che, attanagliate dalla paura, riversano all’esterno una violenza cieca e incontrollata. Temo che un’azione violenta improvvisata solo sulla base della paura rischi di produrre effetti incontrollati e potenzialmente molto pericolosi.

La paura molto spesso è figlia dell’ignoranza: si teme ciò che non si conosce, e nelle vicende maliane credo che ben pochi abbiano una conoscenza adeguata delle vicende passate e presenti di questo paese e delle forze in campo nel presente conflitto. Per questo il rischio è quello di battersi alla cieca contro degli avversari male identificati e a favore di alleati altrettanto male conosciuti.

Non ho purtroppo il tempo (e, credo, lo spazio) per descrivere in modo più preciso e dettagliato quello che nelle schede qui accluse viene sunteggiato in modo a volte troppo drastico quando non palesemente erroneo (in particolare, è scandalosa la voluta confusione tra l’MNLA e i gruppi islamici e terroristici Aqmi, Mujao e Ansar Dine), e mi limito a segnalare alcuni punti che mi sembrano importanti:

1) Una guerra nel deserto non è facile, anche (se non soprattutto) per chi combatte dal cielo e con armi “tecnologiche”. Per una soluzione efficace del conflitto bisognerebbe fare intervenire truppe di terra che siano addestrate per la guerra nel deserto. L’esercito del Mali è un colabrodo, si dice sia stato volutamente tenuto ad un bassissimo livello di efficienza per prevenire colpi di stato, e comunque non ha la minima capacità di svolgere questo compito. Anche gli altri paesi dell’Ecowas sono in condizioni non molto diverse, e un loro eventuale impiego rischia di sollevare più problemi che soluzioni. I soli che sarebbero adeguati a combattere a fianco dell’Occidente contro i terroristi islamici (e lo hanno ribadito più volte, anche se tanti lo ignorano o fingono di ignorarlo) sono i tuareg e in generale le popolazioni dell’Azawad. Il MNLA, contrariamente alle insinuazioni che emergono anche dal sito dell’ISPI, è sempre stato contrario agli islamisti e li ha combattuti già ben prima dello scoppio della crisi attuale. I gruppi di terroristi, dediti per lo più al narcotraffico, sono presenti da più di un decennio sul territorio del Nord del Mali (Azawad), con la complicità conclamata di diversi esponenti del governo maliano, e la ribellione dei tuareg (iniziata nel dicembre del 2011, ben prima del colpo di stato di Bamako) aveva anche lo scopo di opporsi alla trasformazione del territorio in un santuario di terroristi e narcotrafficanti.

2) Un grosso punto di domanda riguarda l’oggetto dell’ “aiuto” da parte della Francia e della comunità internazionale. Chi si vuole aiutare con questa guerra? Nonostante tutto, sembra che tanto la Francia quanto la comunità internazionale continuino a voler sostenere lo stato del Mali la cui “integrità territoriale” sarebbe sacrosanta e tale da far accettare qualunque tipo di governo, più o meno putschista, più o meno antidemocratico, più o meno razzista. Il rifiuto di ammettere l’errore fatto nel 1960 creando uno stato che avrebbe sottoposto per più di mezzo secolo le regioni del nord a un trattamento da vera e propria colonia, impedisce anche solo di prendere in considerazione le sacrosante ragioni del MNLA e le sue continue offerte di impegno nella lotta contro i terroristi islamici. Il MNLA è una forza laica, che intende rappresentare tutti i popoli dell’Azawad (e quindi non solo i tuareg), e che aspira semplicemente a permettere ai popoli di quella regione di autogovernarsi senza essere sfruttati e perseguitati da un governo sostanzialmente “straniero” e razzista come quello del Mali, e senza vedere il proprio territorio trasformato in un santuario di terroristi e crocevia di narcotraffico.

3) La sola soluzione ragionevole consisterebbe nell’allearsi formalmente all’MNLA (eventualmente barattando l’indipendenza immediata con un referendum sull’autodeterminazione, a guerra finita) e fornirlo di mezzi  bellici e finanziari tali da competere sul terreno con i terroristi, che attualmente appaiono meglio armati e spudoratamente meglio finanziati (tra gli altri dal Qatar). Il MNLA avrebbe tutte le potenzialità per battersi in modo efficace contro i gruppi terroristi e per garantire, una volta liberato il paese, un governo pacifico e democratico dell’Azawad. Tutte le altre soluzioni, che vedano coinvolte solo forze straniere e tendano a ridare al Mali la sovranità su una regione che esso sente come una colonia e non come un territorio abitato da concittadini, lascerebbero una scia di instabilità destinata a protrarsi a lungo, e in prospettiva potrebbero finire per radicare su quel territorio le forze islamiste violente che invece tutti aspirano a vedere sconfitte.

Commento di Strapazzaburdok — 17 gennaio 2013 @ 5:25 pm

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