Oggi il più diffuso quotidiano italiano ospita un articolo che riporta alcune rivelazioni del Washington Post sulle carte ritrovate nel covo di Bin Laden. Tra le altre cose, veniamo a sapere che il capo di Al Qaeda meditava una nuova denominazione della sua organizzazione, e che tra i vari nomi "il preferito è 'Taifat al Tawhid wal Jihad' (Monoteismo e gruppo della Jihad)".
Curiosa un'organizzazione con un nome così: due entità appaiate, da una parte il monoteismo e dall'altra un gruppo per il Jihad. I lettori penseranno a un'ennesima espressione bizzarra di un mondo per noi poco comprensibile. In realtà la traduzione italiana è semplicemente sbagliata.
Il nome arabo dell'organizzazione si potrebbe tradurre (molto sinteticamente) "gruppo del monoteismo e del jihad". Da dove salti fuori la curiosa denominazione del giornalista italiano è facile capire: da una traduzione (comunque errata) non dall'arabo ma dall'inglese. Il giornalista statunitense aveva infatti tradotto: "Monotheism and Jihad Group", in cui la testa del sintagma genitivale (Group) aveva due modificatori (Monotheism and Jihad). In casi come questo non sempre è facile capire se vada considerato modificatore (complemento di specificazione) solo il termine più vicino alla testa o tutti e due. Un buon traduttore dall'inglese di solito sa come cavarsela, soprattutto sulla base del contesto e del buon senso, ma qui c'era una fonte che permetteva facilmente di sciogliere il dubbio: il nome arabo. La lingua araba, come l'italiano (e diversamente dall'inglese) mette la testa prima dei modificatori, e in effetti la prima parola è proprio Taifat, "Gruppo". Una versione parola per parola sarebbe "Gruppo il Monoteismo e-il Jihad".
Questo "incidente di percorso" è uno dei mille che vediamo fiorire sui nostri giornali quando si trattano questioni riguardanti il mondo arabo-islamico, ma dei colleghi esperti di lingue di altre parti del mondo mi assicurano che anche nelle rispettive aree di competenza si osservano strafalcioni giornalistici a iosa. Se mi soffermo oggi su questo dettaglio, tutto sommato secondario, è per segnalare ancora una volta la maniera svagata e, diciamolo, razzista con cui gran parte della stampa italiana tratta i fatti del mondo. La persona che ha fatto questo strafalcione non è uno sprovveduto alle prime armi cui è stato affidato per caso un articolo riguardante il Medio Oriente. È uno dei pochi corrispondenti di questo grande quotidiano "specializzati" nelle questioni mediorientali (non scrivo né il nome del quotidiano né quello del giornalista perché non intendo far polemiche private con loro ma segnalare un malcostume dilagante tra i nostri media di informazione). Ed evidentemente non sa una parola di arabo.
Per i giornali italiani si può conoscere tutto il mondo sapendo solo un po' di inglese. Per questo, troppo spesso i nostri giornali sembrano, per le pagine degli esteri, una succursale mal fatta dei quotidiani inglesi o americani. Ora, capisco che non sia possibile conoscere tutte le lingue del mondo e che il mestiere di giornalista non sia quello del linguista, ma almeno un'infarinatura delle lingue più diffuse in Asia e Africa per gli inviati in queste aree permetterebbe loro se non altro di capire qualche titolo di giornale locale, abbozzare scampoli di conversazioni con la gente, riferire, insomma, un po' più "di prima mano". Con questa informazione di seconda e terza mano il pubblico italiano può avere, del mondo esterno, solo immagini stereotipate e/o echi di fatti riferiti da fonti "occidentali".
La mentalità "orientalista" di chi considera l' "occidente" il centro del mondo è dura a morire.
Curiosa un'organizzazione con un nome così: due entità appaiate, da una parte il monoteismo e dall'altra un gruppo per il Jihad. I lettori penseranno a un'ennesima espressione bizzarra di un mondo per noi poco comprensibile. In realtà la traduzione italiana è semplicemente sbagliata.
Il nome arabo dell'organizzazione si potrebbe tradurre (molto sinteticamente) "gruppo del monoteismo e del jihad". Da dove salti fuori la curiosa denominazione del giornalista italiano è facile capire: da una traduzione (comunque errata) non dall'arabo ma dall'inglese. Il giornalista statunitense aveva infatti tradotto: "Monotheism and Jihad Group", in cui la testa del sintagma genitivale (Group) aveva due modificatori (Monotheism and Jihad). In casi come questo non sempre è facile capire se vada considerato modificatore (complemento di specificazione) solo il termine più vicino alla testa o tutti e due. Un buon traduttore dall'inglese di solito sa come cavarsela, soprattutto sulla base del contesto e del buon senso, ma qui c'era una fonte che permetteva facilmente di sciogliere il dubbio: il nome arabo. La lingua araba, come l'italiano (e diversamente dall'inglese) mette la testa prima dei modificatori, e in effetti la prima parola è proprio Taifat, "Gruppo". Una versione parola per parola sarebbe "Gruppo il Monoteismo e-il Jihad".
Questo "incidente di percorso" è uno dei mille che vediamo fiorire sui nostri giornali quando si trattano questioni riguardanti il mondo arabo-islamico, ma dei colleghi esperti di lingue di altre parti del mondo mi assicurano che anche nelle rispettive aree di competenza si osservano strafalcioni giornalistici a iosa. Se mi soffermo oggi su questo dettaglio, tutto sommato secondario, è per segnalare ancora una volta la maniera svagata e, diciamolo, razzista con cui gran parte della stampa italiana tratta i fatti del mondo. La persona che ha fatto questo strafalcione non è uno sprovveduto alle prime armi cui è stato affidato per caso un articolo riguardante il Medio Oriente. È uno dei pochi corrispondenti di questo grande quotidiano "specializzati" nelle questioni mediorientali (non scrivo né il nome del quotidiano né quello del giornalista perché non intendo far polemiche private con loro ma segnalare un malcostume dilagante tra i nostri media di informazione). Ed evidentemente non sa una parola di arabo.
Per i giornali italiani si può conoscere tutto il mondo sapendo solo un po' di inglese. Per questo, troppo spesso i nostri giornali sembrano, per le pagine degli esteri, una succursale mal fatta dei quotidiani inglesi o americani. Ora, capisco che non sia possibile conoscere tutte le lingue del mondo e che il mestiere di giornalista non sia quello del linguista, ma almeno un'infarinatura delle lingue più diffuse in Asia e Africa per gli inviati in queste aree permetterebbe loro se non altro di capire qualche titolo di giornale locale, abbozzare scampoli di conversazioni con la gente, riferire, insomma, un po' più "di prima mano". Con questa informazione di seconda e terza mano il pubblico italiano può avere, del mondo esterno, solo immagini stereotipate e/o echi di fatti riferiti da fonti "occidentali".
La mentalità "orientalista" di chi considera l' "occidente" il centro del mondo è dura a morire.
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