Leggo nella posta odierna sul "Corriere" che Sergio Romano ancora si pone la domanda se in Nordafrica vi sia stata una vera rivoluzione o delle semplici rivolte. E propende decisamente per quest'ultima risposta.
Probabilmente egli non ha avuto la fortuna di assistere alla trasmissione che al Jazeera mandò in onda dalla piazza di Bengasi poco prima che venisse deciso l'intervento francese, quando tutto sembrava perduto e le orde di Gheddafi si stavano precipitando sulla città per mettere a tacere nel sangue ogni voce di opposizione. La piazza era strapiena e Gheddafi trasmetteva per radio un discorso feroce, in cui prometteva di mettere tutto a ferro e fuoco, senza pietà per nessuno, ma la folla, che pure udiva bene quelle parole, appariva festante e spavaldamente indifferente a queste minacce raccapriccianti. È stato lì che ho capito: nella testa di tutta questa gente era avvenuta una rivoluzione copernicana. Dopo una vita (42 anni!) trascorsa sotto una dittatura, con il terrore di dire una parola fuori posto e ritrovarsi in prigione, torturati e uccisi, essi avevano scoperto il senso della libertà e della dignità. Ne ho sentiti moltissimi, in quei giorni e anche in seguito, affermare, senza intenti retorici ma con intima convinzione, che non temevano di morire, ma volevano farlo da uomini liberi.
Prima di passare decisamente alle vie di fatto con razzi e cannoni, Gheddafi ha cercato di "venire incontro" a quella che lui credeva una ribellione dettata dall'esasperazione per motivi economici. Promise doni in denaro, alloggi, sconti nei prezzi dei beni di prima necessità e così via, ma la gente non vi badò. È questo che gli fece perdere le staffe e lo decise alla spaventosa carneficina degli ultimi sei mesi: si rese conto che ormai era in atto una rivoluzione. I suoi sudditi volevano diventare "cittadini con uguali diritti e doveri". Conta poco che tra i ranghi dei ribelli vi siano più o meno liberali o socialisti, laici o religiosi. Anche tra coloro che conquistarono la Bastiglia ben pochi avevano un progetto di società preciso e dettagliato. Ma tutti volevano (in modo più o meno confuso) "libertà, uguaglianza fraternità". Concetti che, in questi giorni, ho visto ricorrere con enorme frequenza nei discorsi dei miei conoscenti libici.
Insistere nel voler "declassare" a semplice "rivolta" questa eroica rivoluzione di un popolo intero contro un tiranno è insistere nella visione "orientalista" per cui i Nordafricani sono un popolo ontologicamente inferiore e incapace di vere "rivoluzioni", come solo noi in Europa o in America sappiamo fare. Lo so, non è detto che tutte le rivoluzioni portino ipso facto a regimi autenticamente liberali. D'altra parte anche la rivoluzione francese conobbe poi terrore, termidoro e impero, ma la rivoluzione nel modo di pensare che essa introdusse non cessò per questo di produrre i suoi effetti. Non vedo perché si dovrebbe negare lo stesso carattere rivoluzionario alle lotte dei Nordafricani, che stanno veramente condizionando in modo completamente nuovo le attese della popolazione, anche se gli esiti finali al momento sembrano incerti e in qualche caso (Egitto) poco incoraggianti. Vedo al termine del suo articolo l'argomento che forse, sotto sotto, più spaventa Romano: il possibile (ma non è detto) ruolo di partiti religiosi nelle nuove democrazie della regione. Lo so, anche questo è un rischio da correre. Ma anche noi in Italia, in fondo, siamo sopravvissuti in modo passabilmente democratico a svariati decenni di governi democristiani...
NB- Nel filmato che ho linkato, la piazza di Bengasi appare intorno al minuto 11'40"
Probabilmente egli non ha avuto la fortuna di assistere alla trasmissione che al Jazeera mandò in onda dalla piazza di Bengasi poco prima che venisse deciso l'intervento francese, quando tutto sembrava perduto e le orde di Gheddafi si stavano precipitando sulla città per mettere a tacere nel sangue ogni voce di opposizione. La piazza era strapiena e Gheddafi trasmetteva per radio un discorso feroce, in cui prometteva di mettere tutto a ferro e fuoco, senza pietà per nessuno, ma la folla, che pure udiva bene quelle parole, appariva festante e spavaldamente indifferente a queste minacce raccapriccianti. È stato lì che ho capito: nella testa di tutta questa gente era avvenuta una rivoluzione copernicana. Dopo una vita (42 anni!) trascorsa sotto una dittatura, con il terrore di dire una parola fuori posto e ritrovarsi in prigione, torturati e uccisi, essi avevano scoperto il senso della libertà e della dignità. Ne ho sentiti moltissimi, in quei giorni e anche in seguito, affermare, senza intenti retorici ma con intima convinzione, che non temevano di morire, ma volevano farlo da uomini liberi.
Prima di passare decisamente alle vie di fatto con razzi e cannoni, Gheddafi ha cercato di "venire incontro" a quella che lui credeva una ribellione dettata dall'esasperazione per motivi economici. Promise doni in denaro, alloggi, sconti nei prezzi dei beni di prima necessità e così via, ma la gente non vi badò. È questo che gli fece perdere le staffe e lo decise alla spaventosa carneficina degli ultimi sei mesi: si rese conto che ormai era in atto una rivoluzione. I suoi sudditi volevano diventare "cittadini con uguali diritti e doveri". Conta poco che tra i ranghi dei ribelli vi siano più o meno liberali o socialisti, laici o religiosi. Anche tra coloro che conquistarono la Bastiglia ben pochi avevano un progetto di società preciso e dettagliato. Ma tutti volevano (in modo più o meno confuso) "libertà, uguaglianza fraternità". Concetti che, in questi giorni, ho visto ricorrere con enorme frequenza nei discorsi dei miei conoscenti libici.
Insistere nel voler "declassare" a semplice "rivolta" questa eroica rivoluzione di un popolo intero contro un tiranno è insistere nella visione "orientalista" per cui i Nordafricani sono un popolo ontologicamente inferiore e incapace di vere "rivoluzioni", come solo noi in Europa o in America sappiamo fare. Lo so, non è detto che tutte le rivoluzioni portino ipso facto a regimi autenticamente liberali. D'altra parte anche la rivoluzione francese conobbe poi terrore, termidoro e impero, ma la rivoluzione nel modo di pensare che essa introdusse non cessò per questo di produrre i suoi effetti. Non vedo perché si dovrebbe negare lo stesso carattere rivoluzionario alle lotte dei Nordafricani, che stanno veramente condizionando in modo completamente nuovo le attese della popolazione, anche se gli esiti finali al momento sembrano incerti e in qualche caso (Egitto) poco incoraggianti. Vedo al termine del suo articolo l'argomento che forse, sotto sotto, più spaventa Romano: il possibile (ma non è detto) ruolo di partiti religiosi nelle nuove democrazie della regione. Lo so, anche questo è un rischio da correre. Ma anche noi in Italia, in fondo, siamo sopravvissuti in modo passabilmente democratico a svariati decenni di governi democristiani...
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