E meno male che questo Massimo Fini si definisce "uno dei pochi giornalisti non alineati [sic] e realmente anticonformisti". Chissà se era conformista!
Il suo articolo "La Libia ha solo cambiato padrone" pubblicato l'11 ottobre su il Fatto Quotidiano rappresenta un condensato dei luoghi comuni e delle approssimazioni che sulla guerra di Libia girano allegramente presso gran parte dell'area che si ritiene "di sinistra" e che considera troppo scomodo e, tutto sommato, inutile informarsi, preferendo rifugiarsi nella rassicurante consuetudine di analisi ben collaudate ("se c'è di mezzo la NATO è una porcata a prescindere”). Non mi sembra proprio espressione di una grande originalità e autonomia di pensiero.
Chissà, forse si ritiene anticonformista perché in questo articolo riesce perfino a trovare dei meriti a Berlusconi! Non gli viene il dubbio che proprio questa coincidenza di punti di vista sia un pericoloso segnale che qualcosa non va. D'altra parte, nel corso dell'articolo vedo che non si fa tanti scrupoli a sputare sulla resistenza italiana che, sembra di capire, secondo questo geniale anticonformista avrebbe dovuto respingere l'aiuto degli alleati e soccombere allegramente al nazifascismo...
Ma lasciamo da parte queste considerazioni sul maggiore o minor grado di revanscismo filonazista di Massimo Fini e veniamo al cuore del discorso: "Sono, oltre che, perlomeno nelle alte sfere, degli ex gheddafiani che hanno cambiato sponda al momento opportuno, a cominciare da Jalil che sotto Gheddafi era ministro della Giustizia, proprio il posto peggiore, degli imbelli, dei servi antropologici che senza il pesantissimo apporto dell'aviazione Nato non sarebbero andati da nessuna parte." Ecco qua l'audace punto di vista non allineato: il nostro esibisce la propria adesione incondizionata alla falsa vulgata secondo la quale la nuova Libia sarebbe retta da voltagabbana gheddafiani, che con mossa gattopardesca non vorrebbero cambiare nulla nella sostanza.
In realtà, nelle file del CNT ci sono fior di oppositori politici, e diversi hanno anni e anni di galera alle spalle. L'unico che sia stato ministro di Gheddafi è proprio quel Mustafa Abdel Jalil che però non è quel burattino che si vorrebbe far credere. Per lungo tempo egli è stato un magistrato, un giudice "scomodo", troppo attento ai diritti umani per i gusti del dittatore, e se nel 2007 venne "promosso" ministro della giustizia, ciò avvenne nel quadro di un'operazione di cosmesi politica che mirava a dare un'immagine meno spietata del regime lasciando presagire un'era di riforme proprio integrando nel governo figure meno compromesse coi crimini del dittatore (perfino Human Rights Watch gli aveva espresso riconoscimenti per la sua integrità). Ma come ministro il suo progetto di riforma, che mirava ad abolire la pena di morte per tutti i reati diversi dall'omicidio ed a sostituire tante pene detentive con altre forme di recupero sociale, cozzava contro la visione di Gheddafi, con cui egli stesso -unico tra i suoi ministri- ebbe il coraggio di mostrarsi pubblicamente in disaccordo (ricordo qui il video di una pubblica seduta in cui, nel 2010, meno di un anno prima della rivolta, Abdel Jalil elenca di fronte ad un Gheddafi evidentemente scocciato tutte le magagne del sistema giudiziario e fa intendere la propria intenzione di dimettersi se non avverranno cambi di rotta), e in febbraio ha aderito subito alla rivolta fin dal primo giorno, senza aspettare la NATO -contrariamente a quello che sembra insinuare l'articolo di Fini. [Qui un articolo serio e informato sulla personalità di Mustafa Abdel Jalil]
Abdel Jalil è persona di riconosciuta integrità e rettitudine, dallo stile molto misurato e responsabile, che non alza la voce ma dice quello che deve dire. Per dare un'idea, quando tra le forze vittoriose è cominciato a serpeggiare qualche malumore per alcune sue scelte e hanno cominciato a fare capolino ambizioni e gelosie personali non ha esitato a dichiarare che se qualcuno voleva fare di testa sua, poteva accomodarsi e lui non avrebbe esitato a dare le dimissioni: tanto è bastato perché tutti tornassero ad allinearsi. Direi che la sua figura è in assoluto quella che riscuote unanimità di consensi e rispetto tra tutte le diverse anime della rivoluzione. Tutti i libici con cui sono venuto in contatto negli ultimi mesi sono concordi in questo giudizio positivo. Anche coloro che non lo conoscevano prima ne sono colpiti e si dicono fieri di vedersi finalmente rappresentati da uno statista che fa discorsi di alto spessore politico ed etico, e non più da quel pagliaccio fanfarone del deposto dittatore. Se quel giornalista invece di sputare giudizi affrettati pensasse ad informarsi, non scriverebbe le enormità che scrive.
Conoscendo la persona di Abdeljalil, anche le frasi che sono riferite nell'articolo come una lode del colonialismo italiano in Libia non sono certo dettate da sciocca piaggeria nei confronti di La Russa (quello sì, che col suo "Allah Akbar!" non si è sottratto alla solita carnevalata). Se ha detto che "Gheddafi è stato assai peggio" del colonialismo italiano, "nonostante tutti gli sbagli" di quest'ultimo, non mi sembra tanto un elogio della bontà dell'occupazione italiana quanto piuttosto un tentativo di trovare un termine di paragone negativo che permetta di capire l'abisso di nequizie di un'era che riusciva a superare nel male quella infelice del colonialismo europeo.
Certamente Abdel Jalil non è tipo da "genuflettersi" a chicchessia. Non lo ha fatto con Gheddafi, ci mancherebbe che lo facesse con La Russa! Personalmente sono convinto che, molto più semplicemente, da statista serio e responsabile qual è ha detto quello che ha detto anche per esprimere la volontà di aprire un franco dialogo con l'Italia, come con tutto l'Occidente, buttandosi alle spalle tutti quei balletti di finte ripicche e recriminazioni che i dittatori delle ex-colonie sono soliti inscenare nei confronti dei paesi europei colonialisti, al solo scopo di mantenere una facciata di credibilità ad uso interno, salvo poi fare tranquillamente affari più o meno puliti dietro alle quinte con gli stessi paesi che affettano di disprezzare (ogni riferimento al Gheddafi del tira-e-molla sui "risarcimenti" e al Bouteflika che in Algeria vieta il francese ma è tutti i momenti a farsi curare al Val-de-Grâce non è per nulla casuale).
Detto questo, ribadisco il mio scoramento per l'appiattimento di tanta parte della "sinistra" sulle posizioni della propaganda di Gheddafi. È lui che enfatizza a dismisura il ruolo della NATO per sminuire quelli che continua a considerare non uomini ma "ratti", e di fatto anche chi, in Europa, non vede altro che trame straniere e intrighi della NATO, ignorando del tutto un popolo che ha avuto il coraggio di alzare la testa contro un dittatore e combatterlo per lunghi mesi, rivela una mentalità sostanzialmente colonialista e priva di ogni fiducia nella capacità delle masse popolari di indirizzare la storia.
A chi considera assolutamente identica, sul piano politico e militare, la situazione in Italia nella seconda guerra mondiale e in Libia oggi, conviene ricordare un paio di circostanze:
Il suo articolo "La Libia ha solo cambiato padrone" pubblicato l'11 ottobre su il Fatto Quotidiano rappresenta un condensato dei luoghi comuni e delle approssimazioni che sulla guerra di Libia girano allegramente presso gran parte dell'area che si ritiene "di sinistra" e che considera troppo scomodo e, tutto sommato, inutile informarsi, preferendo rifugiarsi nella rassicurante consuetudine di analisi ben collaudate ("se c'è di mezzo la NATO è una porcata a prescindere”). Non mi sembra proprio espressione di una grande originalità e autonomia di pensiero.
Chissà, forse si ritiene anticonformista perché in questo articolo riesce perfino a trovare dei meriti a Berlusconi! Non gli viene il dubbio che proprio questa coincidenza di punti di vista sia un pericoloso segnale che qualcosa non va. D'altra parte, nel corso dell'articolo vedo che non si fa tanti scrupoli a sputare sulla resistenza italiana che, sembra di capire, secondo questo geniale anticonformista avrebbe dovuto respingere l'aiuto degli alleati e soccombere allegramente al nazifascismo...
Ma lasciamo da parte queste considerazioni sul maggiore o minor grado di revanscismo filonazista di Massimo Fini e veniamo al cuore del discorso: "Sono, oltre che, perlomeno nelle alte sfere, degli ex gheddafiani che hanno cambiato sponda al momento opportuno, a cominciare da Jalil che sotto Gheddafi era ministro della Giustizia, proprio il posto peggiore, degli imbelli, dei servi antropologici che senza il pesantissimo apporto dell'aviazione Nato non sarebbero andati da nessuna parte." Ecco qua l'audace punto di vista non allineato: il nostro esibisce la propria adesione incondizionata alla falsa vulgata secondo la quale la nuova Libia sarebbe retta da voltagabbana gheddafiani, che con mossa gattopardesca non vorrebbero cambiare nulla nella sostanza.
In realtà, nelle file del CNT ci sono fior di oppositori politici, e diversi hanno anni e anni di galera alle spalle. L'unico che sia stato ministro di Gheddafi è proprio quel Mustafa Abdel Jalil che però non è quel burattino che si vorrebbe far credere. Per lungo tempo egli è stato un magistrato, un giudice "scomodo", troppo attento ai diritti umani per i gusti del dittatore, e se nel 2007 venne "promosso" ministro della giustizia, ciò avvenne nel quadro di un'operazione di cosmesi politica che mirava a dare un'immagine meno spietata del regime lasciando presagire un'era di riforme proprio integrando nel governo figure meno compromesse coi crimini del dittatore (perfino Human Rights Watch gli aveva espresso riconoscimenti per la sua integrità). Ma come ministro il suo progetto di riforma, che mirava ad abolire la pena di morte per tutti i reati diversi dall'omicidio ed a sostituire tante pene detentive con altre forme di recupero sociale, cozzava contro la visione di Gheddafi, con cui egli stesso -unico tra i suoi ministri- ebbe il coraggio di mostrarsi pubblicamente in disaccordo (ricordo qui il video di una pubblica seduta in cui, nel 2010, meno di un anno prima della rivolta, Abdel Jalil elenca di fronte ad un Gheddafi evidentemente scocciato tutte le magagne del sistema giudiziario e fa intendere la propria intenzione di dimettersi se non avverranno cambi di rotta), e in febbraio ha aderito subito alla rivolta fin dal primo giorno, senza aspettare la NATO -contrariamente a quello che sembra insinuare l'articolo di Fini. [Qui un articolo serio e informato sulla personalità di Mustafa Abdel Jalil]
Abdel Jalil è persona di riconosciuta integrità e rettitudine, dallo stile molto misurato e responsabile, che non alza la voce ma dice quello che deve dire. Per dare un'idea, quando tra le forze vittoriose è cominciato a serpeggiare qualche malumore per alcune sue scelte e hanno cominciato a fare capolino ambizioni e gelosie personali non ha esitato a dichiarare che se qualcuno voleva fare di testa sua, poteva accomodarsi e lui non avrebbe esitato a dare le dimissioni: tanto è bastato perché tutti tornassero ad allinearsi. Direi che la sua figura è in assoluto quella che riscuote unanimità di consensi e rispetto tra tutte le diverse anime della rivoluzione. Tutti i libici con cui sono venuto in contatto negli ultimi mesi sono concordi in questo giudizio positivo. Anche coloro che non lo conoscevano prima ne sono colpiti e si dicono fieri di vedersi finalmente rappresentati da uno statista che fa discorsi di alto spessore politico ed etico, e non più da quel pagliaccio fanfarone del deposto dittatore. Se quel giornalista invece di sputare giudizi affrettati pensasse ad informarsi, non scriverebbe le enormità che scrive.
Conoscendo la persona di Abdeljalil, anche le frasi che sono riferite nell'articolo come una lode del colonialismo italiano in Libia non sono certo dettate da sciocca piaggeria nei confronti di La Russa (quello sì, che col suo "Allah Akbar!" non si è sottratto alla solita carnevalata). Se ha detto che "Gheddafi è stato assai peggio" del colonialismo italiano, "nonostante tutti gli sbagli" di quest'ultimo, non mi sembra tanto un elogio della bontà dell'occupazione italiana quanto piuttosto un tentativo di trovare un termine di paragone negativo che permetta di capire l'abisso di nequizie di un'era che riusciva a superare nel male quella infelice del colonialismo europeo.
Certamente Abdel Jalil non è tipo da "genuflettersi" a chicchessia. Non lo ha fatto con Gheddafi, ci mancherebbe che lo facesse con La Russa! Personalmente sono convinto che, molto più semplicemente, da statista serio e responsabile qual è ha detto quello che ha detto anche per esprimere la volontà di aprire un franco dialogo con l'Italia, come con tutto l'Occidente, buttandosi alle spalle tutti quei balletti di finte ripicche e recriminazioni che i dittatori delle ex-colonie sono soliti inscenare nei confronti dei paesi europei colonialisti, al solo scopo di mantenere una facciata di credibilità ad uso interno, salvo poi fare tranquillamente affari più o meno puliti dietro alle quinte con gli stessi paesi che affettano di disprezzare (ogni riferimento al Gheddafi del tira-e-molla sui "risarcimenti" e al Bouteflika che in Algeria vieta il francese ma è tutti i momenti a farsi curare al Val-de-Grâce non è per nulla casuale).
Detto questo, ribadisco il mio scoramento per l'appiattimento di tanta parte della "sinistra" sulle posizioni della propaganda di Gheddafi. È lui che enfatizza a dismisura il ruolo della NATO per sminuire quelli che continua a considerare non uomini ma "ratti", e di fatto anche chi, in Europa, non vede altro che trame straniere e intrighi della NATO, ignorando del tutto un popolo che ha avuto il coraggio di alzare la testa contro un dittatore e combatterlo per lunghi mesi, rivela una mentalità sostanzialmente colonialista e priva di ogni fiducia nella capacità delle masse popolari di indirizzare la storia.
A chi considera assolutamente identica, sul piano politico e militare, la situazione in Italia nella seconda guerra mondiale e in Libia oggi, conviene ricordare un paio di circostanze:
- In Italia gli eserciti alleati combatterono a lungo sul terreno e non solo nei cieli, ed ebbero un numero di morti impressionante, con oltre 300.000 caduti. In Libia la Nato ha combattuto solo con mezzi aerei ed ha riportato ZERO VITTIME. Il debito di riconoscenza è incomparabilmente diverso. Per costose che siano le missioni aeree e le munizioni, nulla eguaglia il costo delle vite umane;
- In Italia gli "alleati" vennero a combattere "contro" l'Italia, e il fatto che l'8 settembre ci sia stato un cambio di alleanze non ha migliorato di molto le nostre condizioni di paese sconfitto e in balia dei vincitori. In Libia l'intervento dell'alleanza militare internazionale è stato sollecitato dai rivoluzionari, che hanno sì usufruito di questo aiuto esterno per non soccombere, ma hanno poi vinto con le proprie forze questa guerra. Anche in questo caso la posizione della Libia rispetto ai suoi alleati è ben diversa da quella dell'Italia.
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